
L’Abbazia di Santa Maria delle Carceri a Carceri venne fondata attorno all’anno 1000 quando i Canonici della collegiata di Santa Tecla di Este intervennero nel recupero e nella bonifica del territorio della bassa padovana, zona paludosa, che per secoli era rimasta abbandonata nella miseria più nera. I religiosi si insediarono a Carceri nell’antica pieve campestre e, come Ordine Religioso, scelsero la regola dei Monaci Agostiniani (da Pietro de Honestis – Chiesa di Santa Maria Porto di Ravenna). Ricevettero donazioni di terreni, di case e poterono usufruire di ampi privilegi nella gestione della popolazione e del territorio, tanto da far nascere un Monastero che sarebbe diventato uno dei più importanti del Veneto. Già nel XII secolo infatti era conosciuto come ospizio in cui alloggiavano i pellegrini del Nord Europa che, diretti a Roma, percorrevano la strada che da Padova conduceva a Bologna. Nel 1399 i monaci ampliarono l’antica Chiesa (con struttura a tre navate romaniche). Nel 1407 gli Agostiniani lasciarono Carceri decimanti dalle carestie dovute alle pestilenze e alle invasioni delle cavallette, assai frequenti in quei tempi, ma anche a causa della feroce guerra fra la dinastia Scaligera e la dinastia Carrarese che imperversava in quei territori. Per ridare vita alla comunità di Carceri, Papa Gregorio XII trasferì il possesso e la cura della Chiesa e del monastero dai monaci Agostiniani ai Camaldolesi (Monaci della Chiesa di San Michele di Murano a Venezia), che rimasero per quasi tre secoli dedicandosi principalmente alla coltivazione degli ingenti territori agricoli, alla lavorazione della ceramica e alla gestione dell’attività farmaceutica (la farmacia dell’Abbazia di Carceri è considerata la più antica del Veneto). Con i Camaldolesi, legati alla Regola di San Benedetto, l’Abbazia visse un periodo di straordinario splendore e fu riconosciuta tale proprio nel 1427. L’ordine (fondato nel 1012 da San Romualdo) prevedeva la presenza di Monaci Eremiti e Cenobiti, infatti lo stemma era caratterizzato da due colombe che si abbeveravano in un calice divino a rappresentare le due istituzioni religiose. Di questo periodo aureo (dal XIV al XVI secolo l’Abbazia di Carceri fu una delle più ricche del Veneto) rimangono i 4 chiostri tra cui il grande chiostro del ‘500, la navata della chiesa con il coro (in luogo delle tre navate bruciate in un incendio nel 1643, i monaci eressero l’attuale unica navata in stile barocco benedetta da San Gregorio Barbarigo nel 1686), la parte alta del portichetto di entrata, la foresteria, le stalle per il bestiame e la sala della biblioteca, un tempo ricca di codici e libri stampati, molti dei quali asportati dai monaci stessi all’epoca della soppressione dell’Abbazia, altri dispersi o venduti (presso l’Abbazia era stata istituita una vera e propria Accademia di Studi in collaborazione con l’Università di Padova con la lettura e l’interpretazione del patrimonio bibliografico). La soppressione avvenne nel 1690 per opera di Papa Alessandro VIII dovuta alle necessità economiche legate alla costruzione del Seminario Maggiore di Padova e alle necessità economiche della Repubblica di Venezia impegnata nella guerra contro i Turchi (Guerra di Candia). Con la vendita dell’Abbazia ai Conti Carminati nel 1693 iniziò un periodo di lento ed inesorabile declino della straordinaria struttura Abbaziale dei Monaci Camaldolesi. La famiglia dei Conti Carminati, di provenienza Bergamasca, aveva e mantenne la residenza a Venezia, ma il primo intervento sull’Abbazia fu la trasformazione della casa dell’Abate in residenza estiva per i Conti, Villa Carminati (attuale Casa Canonica). Nel 1950 gli eredi dei Conti Carminati cedettero l’ex Abbazia alla Parrocchia di Carceri che tutt’oggi la gestisce. Al primo piano del Chiostro del 1500 di recente è stato allestito un piccolo museo etnografico: il Museo della Civiltà Contadina.
L’ingresso primitivo dell’Abbazia di Santa Maria delle Carceri a Carceri è rappresentato da un insieme, articolato nella torre piccionaia, nell’arco di passaggio, nell’abitazione del “custode del ponte” e nel granaio-spedale. Sopra l’arco del portone d’ingresso, un capitello gotico con un quadro della Madonna. Caratteristica è pure la meriatura ghibellina. Sempre sopra l’arco d’ingresso, dalla parte opposta, si apre una graziosa loggetta a quattro archi. Il granaio-spedale attira l’attenzione, sia per la mole, sia per lo stemma camaldolese e la stella benedettina, scolpiti in pietra di Nanto, posti sul timpano. Da ammirarsi l’antico chiostrino – ne rimane soltanto un’ala – elegantissimo esempio di romanico, pregevole per la disposizione del colonnato. Più tarda è la sovrastruttura muraria. Nel cortiletto, che doveva essere limitato dal chiostrino, si può ancora osservare una vasca scavata in un pezzo monolitico di marmo. Discosto dalla chiesa, addossato a quello che doveva essere il perimetro del chiostrino, passando sotto un ampio arco, si presenta il chiostro cinquecentesco camaldolese, con una armonica prospettiva. Il peristilio, a pianta quasi rettangolare, è delineato da archi a tutto sesto, sostenuti da colonne, in pietra d’Istria, poggianti su un muricciolo. Al centro del chiostro, s’impone un monumentale pozzo in marmo rosso di Verona, portante alla sommità dell’arco lo stemma, sempre marmoreo, dei camaldolesi.
Info
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